I vini passiti vengono quasi sempre catalogati tra i vini speciali, ma da un punto di vista
normativo sono considerati vini normali, in quanto dopo il processo di vinificazione e prima
di essere immessi sul mercato non vengono sottoposti a ulteriori interventi tecnici o
all'aggiunta di altri componenti.
Infatti i vini passiti sono prodotti utilizzando le stesse tecniche di vinificazione
impiegate per i vini normali, con la sola differenza che le uve, prima di essere vinificate,
vengono sottoposte per un periodo di tempo più o meno lungo ad appassimento,
cioè a una riduzione o eliminazione dell'acqua (disidratazione) presente nell'acino.
Lo scopo di tale procedimento è quello di sottoporre l'uva a sovramaturazione
al fine di concentrare nella bacca numerosi composti, quali: zuccheri, acidi organici,
sali minerali e profumi. I vini che si ottengono in seguito a questo processo sono detti
"passiti" e sono solitamente caratterizzati da uno spiccato contenuto alcolico e da
un residuo zuccherino più o meno elevato.
L'appassimento può essere effettuato in due maniere:
La prima tecnica lascia appassire gli acini d'uva direttamente sulla pianta, mediante:
- vendemmia tardiva;
- torsione del peduncolo;
- aggressione degli acini da parte della cosiddetta muffa nobile (botrytis cinerea).
La seconda tecnica lascia appassire i grappoli o gli acini d'uva, dopo essere stati
vendemmiati:
- in ambiente aperto su stuoie o graticci, oppure appesi;
- in ambiente chiuso, in appositi locali con particolari condizioni di temperatura e umidità.
Dopo l'appassimento le uve vengono pressate e vinificate (
utilizzando di solito il metodo di vinificazione in bianco) ed il periodo di affinamento
può durare anche alcuni anni.
Un ulteriore sistema per ottenere i vini passiti è quello della estrazione a freddo,
consistente nel lasciare le uve appena raccolte ad alcuni gradi sotto lo zero per
una notte e pressarle immediatamente dopo; poiché a temperature appena al di sotto
dello zero congelano solo gli acini meno maturi (che contengono più acqua),
il mosto che si ottiene sarà ricavato solo da quelli più maturi, quindi più ricchi
di zucchero.
Se i vini passiti vengono addizionati con alcol o mosto fermentato danno luogo ai vini
passiti liquorosi (riconoscibili anche per l'apposita etichetta che si trova sul collo
della bottiglia).
Occorre infine precisare che pur essendo i vini passiti essenzialmente dolci,
alcuni vini prodotti con uve fatte appassire, quali l'Amarone della Valpolicella (DOC)
il Moscato di Trani (DOC) ed il Graticciaia Rosso del Salento (IGT)
non presentano sensazione di dolcezza al gusto.
Le Viti dello Stivale: Il Passito di Pantelleria
Il nettare di Pantelleria affonda le sue origini nel quarto millennio a.c., quando dalla costa africana,
tra l'altro molto vicina, arrivarono i Fenici. Inizialmente interessati alle pietre dure per la fabbricazione
di utensili e materiale da battaglia, decisero di insediarsi per molto tempo, piantando tutto ciò che serviva per sopravvivere.
Scoprirono che la nera roccia lavica nascondeva dei terreni particolarmente ricchi di minerali, quindi fertili: qui iniziarono
a coltivare le piante di vite. Il problema era ed è il vento, che soffia perenne e impetuoso, indipendentemente
dalla direzione di provenienza. La natura, si sa, è però capace di adattamenti sbalorditivi, quindi bastavano e sono
ancora sufficienti dei muretti a secco per proteggere delle colture che necessariamente sono basse, uva compresa.
Quando arrivò il turno dei romani, cercarono subito di produrre un vino dolce e dal colore ambrato, che chiamarono Passum.
La fase di appassimento delle prelibate uve Zibibbo si chiama ancor oggi “passola”, un ponte con il passato che
l’enologia del 21º secolo usa per guardare con ottimismo al suo futuro. Si tratta di grappoli di circa 400 g dal colore
giallo-verde con buccia spessa, composti da acini ovali. È proprio la buccia spessa che ha decretato
l'iniziale fortuna dell'uva, che per il suo alto valore energetico veniva utilizzata al posto degli integratori
dagli alpinisti, oltre che venduta nelle grandi città perché buona anche da sola. Il vento portava anche delle piogge
improvvise, che complicavano la fase di appassimento degli acini, che rischiavano di compromettersi. Tuttavia,
nelle isole è spiccata l’arte di arrangiarsi, quindi qualcuno pensò di pressare quest'uva, che una volta bagnata
rimaneva pericolosamente umida. Il Passum dei Romani era tornato agli antichi splendori.
L'agricoltura occupa quasi il 70% delle attività dell'isola, ma è molto faticosa perché bisogna lavorare all'altezza
del terreno, sia per costruire i muretti, come per togliere dalle viti la terra trasportata dal vento o scavare dei
piccoli crateri attorno ai tralci, per non far soffocare le radici e consentire all'acqua piovana di penetrare nel terreno.
I molti muri a secco sono un'eredità degli arabi, e i nomi di diversi borghi dell'isola ricordano il loro lungo soggiorno.
Nel 1928 a Pantelleria arrivò la Fillossera, e i coriacei isolani dovettero ricominciare tutto da capo.
Gli anni ‘50 portarono poca motivazione, perché l'obiettivo principale dell'isola era quello di sopravvivere.
Alla fine degli anni ‘80 la musica cambiò: con l'interessamento di grandi e storiche aziende vinicole siciliane,
la riscossa fu decisa e importante. Le grandi produzioni hanno trainato i piccoli produttori locali,
concretizzando un bilanciamento che ha consentito al Passito di varcare anche i confini nazionali. Non solo un vino dolce:
lo si può bere da solo, anche se la sua vocazione è accompagnare la tradizionale pasticceria siciliana.
Per far questo il vino deve avere il 14,5% di alcol, con 130/135 mg medi di zucchero per litro,
mentre alla vinificazione ogni ettolitro viene integrato con circa 40 chili di uva passa. Dalla rinascita al miracolo,
il passo è stato breve e ben assestato.